Il Metastasio

Premessa

Il Croce fu coerente nella sua posizione di fronte all’Arcadia: letteratura e cultura, letteratura come educazione e preparazione di disciplina stilistica corrispettivo della chiarezza razionalistica, ma mancanza di poesia e al massimo accenti poetici sparsi entro un’epoca e una concezione letteraria e razionalistica. Egli mantenne tale giudizio anche per il Metastasio, combattendo la «riabilitazione» desanctisiana troppo facilmente sociologica e giungendo da una parte ad un giudizio generale dei drammi metastasiani come «giuoco», festa, divertimento, e dall’altra ad un recupero di rari momenti piú commossi e delicati e di rare immagini poetiche (piccole «scintille» dell’amore e del dolore) che però «paiono quasi venuti fuori per caso»[1].

Son proprio queste estreme punte della limitazione crociana che suscitano piú spontanea reazione in chi ritorni a quel giudizio dopo una nuova lettura intera del Metastasio preparata da una piú vasta e diretta conoscenza dell’Arcadia, dei suoi problemi di poetica, del suo sviluppo.

Non si tratta di abbozzare qui una nuova Rettung, un plaidoyer pour Méthastase, ché poi, di fronte al giudizio crociano e a quello, tanto piú ricco e sfumato, ma sostanzialmente troppo riduttivo del Fubini[2], van pur considerati almeno i giudizi tanto piú positivi del Momigliano, la giustificazione russiana della «realtà idillica» metastasiana, la valutazione del recitativo «preleopardiano» del Flora, gli spunti storicistici del Sapegno, il recente saggio del Varese cosí cordiale e acuto nella comprensione dell’umanità e della poetica teatrale del Metastasio[3], e magari l’impressione assai sintomatica di un lettore, come il Bacchelli, che, partito da una immagine sfiduciata e crociana, fu tratto, da una lettura diretta ed intera dei melodrammi, ad un senso di ammirazione per quel cerchio limitato, ma perfetto, per la «melodia metastasiana che gli vien dalla natura e non soltanto dall’arte, che è poetica e non solo melodrammatica»[4].

Basterà invece preliminarmente osservare (tutto il capitolo seguente vuol essere la dimostrazione concreta e diretta) che tali affermazioni crociane segnano proprio la coagulazione estrema di un’insofferenza antimetastasiana che va radicalmente corretta alla luce della poetica e della poesia.

Il Metastasio ebbe un senso serio della propria arte e missione teatrale, coerente all’ispirazione teatrale del suo tempo, e nulla è d’altra parte piú errato della sua riduzione a «giuoco, festa, divertimento» quando essa implicò (non occorre poi dire con quanto margine di cose piú facili e corrive specie nell’attività piú artigianale del lavoro per commissione, degli anni viennesi) una sua poetica consapevole, un rapporto con il teatro antico e moderno, una sua elaborazione lenta ed assidua che trovò il suo centro di forza piú coerente non nell’aspirazione tragico-eroica, ma nella sensibile e schietta poesia degli affetti patetici, nella curva piú avanzata della natura poetica arcadica, nelle condizioni del gusto e degli ideali arcadico-razionalistici e sulla base di una personale intuizione del regno dolce-amaro della sensibilità amorosa, sul vissuto incontro di idillio e di elegia in un diagramma «melodrammatico» nel senso piú storico della parola e suffragato dalla conoscenza della stessa esperienza vitale del Metastasio. Sicché poi tutt’altro che «per caso» il Metastasio raggiunge le immagini poetiche, i moti semplici ed eletti del suo patetismo commosso e melodico, il suo linguaggio dimesso e vibrante, che sono coerente culmine (e tutt’altro che raro e sporadico e disorganico nelle opere della maturità) di tutta una tensione genuina rafforzata da una tecnica elaborata, da una sperimentazione teatrale complessa e progressiva.

E sarà vero che certi limiti metastasiani di profondità sono insieme personali e storici, come disse il Gramsci[5] (ci voleva altra tensione storica perché sorgessero Parini e soprattutto Alfieri), e sarà vero che lo stesso rapporto con la musica presuppone una concezione di questa che è in disaccordo con la ricerca piú profonda di autonoma espressività e di struttura sinfonica della musica piú avanzata del Settecento, come disse il Della Corte[6]: il che, a ben guardare, conferma poi come il Metastasio chiedesse alla musica non piú che un aiuto, una sottolineatura del proprio «canto interno», di una poesia di per sé espressiva e melodica. Ma entro quei limiti che allontanano il Metastasio dalla grande nuova poesia tragica dell’Alfieri e che verificano la sua naturale inadempienza rispetto alla tragedia eroica, in accordo con l’intreccio di ispirazione e aspirazione velleitaria del tempo arcadico (al di là del quale Metastasio trasforma il suo accordo storico in un dissenso e in una incomprensione degli sviluppi piú profondi del razionalismo in illuminismo, della sensibilità idillico-elegiaca arcadica in preromanticismo), Metastasio è poeta e poeta di un momento storico che ha pure una sua dignità e un suo significato nel movimento della storia settecentesca. Come la sua arte patetica, la sua tecnica teatrale melodrammatica, il suo linguaggio scarnito, scelto ed efficace, furono non solo termine di progresso polemico e di contrasto, ma avvio e scuola di finezza psicologica, di vibrazione sentimentale-melodica, di poesia degli affetti per i poeti maggiori del secondo Settecento e sin per il Leopardi.

Riconoscerne la validità e il limite entro un diagramma del Settecento quale ho cercato di delineare nel saggio introduttivo di questo volume non è dunque solo reazione ad una distruzione forse coerente, ma fuori della interpretazione storica e della valutazione critica intera. È collaborazione ad una ricostruzione della nostra storia letteraria in cui Metastasio ha un suo posto e un suo valore effettivi segnando piú chiaramente i limiti di una posizione storica rispetto ai grandi momenti dell’illuminismo e del preromanticismo, e insieme precisandone l’apporto e la consistenza in un disegno piú vasto che parte dalla fine del barocco e dalle prime origini della nostra storia letteraria moderna.

Né la storia tenta di prender la mano all’estetica (come pensava il Croce di fronte al giudizio desanctisiano sul Metastasio) perché essa, come deve, ci introduce attraverso il commutatore della poetica alla miglior comprensione di un mondo poetico che, storicamente compreso e giustificato, tanto meglio rivela le sue genuine qualità, il suo incanto esile, ma consistente ed autentico.

Provai, alcuni anni fa, a Genova, una lettura teatrale, pur senza musica, dell’Olimpiade, e un pubblico di studenti e di professori, venuti forse per ridere, si trovò preso dalla forza tenera e delicata di quella poesia, dal suo scatto perfetto «ad orologeria», dal suo disegno teatrale nitido e lucido, superò gli scogli dell’improbabile e delle peripezie favolose in forza della verità delle situazioni patetiche e della piú vera favola dei sentimenti a cui la trama metastasiana serve di occasione congegnata e articolata. E quella verità nel suo fondo storico-umano e nella sua espressività poetica fu intesa ben diversamente da un giuoco, da una festa, da un divertimento, i punti piú alti furono raggiunti attraverso lo sviluppo seguito di tutto il melodramma e non come momenti casuali e raggiunti per caso.

Una riprova inoltre, per me, di come la dimensione teatrale sia essenziale per la poesia idillico-elegiaca del Metastasio e di come il lettore ed il critico debbano, anche nella loro lettura, calcolare tale dimensione e tanto piú vincere la tentazione di puntare solo sulle arie e sull’immagine di un Metastasio lirico-melico di brevi momenti di canto autonomo, di preziose gocce canore, sgorgate da una ganga discorsiva senza necessità poetica.

Ché, alla fine, il melodramma metastasiano, con i suoi agganci per la musica e per la scenografia, è la sintesi massima delle tendenze arcadiche di dialogo, di rappresentazione, di spettacolo centrato nella espressività e nella corrispondenza con un pubblico vivo e contemporaneo. Magari sogno e favola di evasione da una realtà intera, ma con una realtà di vita patetica in un nesso inscindibile di società, di civiltà, di cultura, che pur lega la espressione estetica arcadica ai temi vari della «pubblica felicità», della «civile conversazione», della comunicabilità, della collaborazione, essenziali nel fondo piú serio ed attivo di un’epoca che sarebbe ormai errato rappresentarsi solo e tutta come frivola e puramente accademica. Pur con tanti limiti e di frivolezza e di accademismo di fronte all’impegno tanto piú deciso della civiltà illuministica vera e propria e al decisivo colpo d’ala del secondo Settecento con la sua ricchezza, spesso anche torbida, di piú diretti avvii moderni del rigore e del coraggio intellettuale, della complessità della coscienza, della sensibilità, della fantasia, con la sua ansia tanto piú fonda di verità, di realtà, con la sua inquietudine tanto piú intensa e fermentante di slancio al sogno, al «bello», all’«infinito», con la sua varietà di paesaggio esterno ed intimo, con la sua diversa carica nelle prime parole arcadiche di ragione e natura.


1 B. Croce, Il giudizio del De Sanctis sul Metastasio, in La letteratura italiana del Settecento, Bari 1949, p. 22.

2 Si veda del Fubini l’Antologia di Pietro Metastasio, in Classici italiani, a cura di L. Russo, Firenze 1939, pp. 669-704. Il Fubini centra l’aderenza della poesia metastasiana alla definizione ceviana della poesia come «sogno fatto in presenza della ragione», ma alla fine par troppo ricavare da quella definizione stessa una preclusione decisa e preventiva delle possibilità poetiche metastasiane che nel cerchio di quella poetica potevano trovare la loro condizione di genesi piú che la loro necessaria negazione o drastica riduzione (cfr. M. Fubini in Dal Muratori al Baretti, Bari 1954, pp. 319-321).

3 C. Varese, Saggio sul Metastasio, Firenze 1950. Questo saggio è stato stimolo particolare nella costruzione di questo mio scritto, specie con il suo capitolo Trama e tessuto lirico, ma anche con quelli sulla vita e sulla poetica del Metastasio. Sul saggio del Varese cfr. la recensione di M. Manciotti, in «La Rassegna della letteratura italiana», 1954, p. 264 ss.

4 Teatro e immagini del Settecento italiano, Torino 1954, p. 48 ss.

5 A. Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Torino 1955, 6a ed., p. 52. Pagina che implica una discussione sul problema del limite storico di un poeta e d’altra parte una comprensione diversa dell’epoca arcadico-razionalistica, entro cui, pure aderendo e reagendo, si sviluppa il Vico.

6 A. Della Corte, Settecento italiano, Paisiello. L’estetica musicale di Pietro Metastasio, Torino 1922, pp. 327-331.